L’aumento dell’occupazione femminile, un grande obiettivo nazionale.
di Titti Di Salvo
Non solo perché e cosa, ma anche e soprattutto come mettere al centro del futuro del paese, e del Recovery Fund, l’occupazione femminile.
È abbastanza chiaro perché. È chiarito da analisi, esperienze e dati che l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro determini un impatto positivo più che proporzionale sull’economia, perché comporta aumento dei consumi, della domanda di servizi e di altra occupazione femminile. E della natalità. Quindi il perché è presto detto: è un interesse pubblico. Sufficientemente chiaro è anche cosa. E cioè qual è l’ostacolo principale all’occupazione femminile sia nell’ingresso al lavoro che nel mantenimento del posto di lavoro. La maternità ostacola l’ingresso al lavoro delle giovani donne anche prima di essere madri (non a caso esiste il fenomeno tutto italiano della truffa delle “dimissioni in bianco”) e ne determina l’uscita. Lo dimostrano i dati recenti dell’Ispettorato del Lavoro sulle vere dimissioni volontarie.
La chiarezza sul perché e cosa è necessaria. Ma non è sufficiente ad attivare le scelte, le risorse e le politiche pubbliche necessarie al superamento delle discriminazioni e degli stereotipi di genere, alla radice della bassa occupazione femminile. Obiettivo urgente, importante e oggi alla portata per disegnare un paese moderno, tracciare la strada, dare un’anima all’utilizzo del Recovery Fund. Alla chiarezza sul cosa e perché occorre dunque unire chiarezza sul come realizzare l’obiettivo. E il come è reso chiaro dalla consapevolezza che per aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro ci vogliono politiche di sistema e comportamenti coerenti di tutti gli attori: imprese, organizzazioni sindacali, scuola e università, mondo dell’informazione. È necessario, cioè, che a politiche pubbliche nazionali corrispondano comportamenti coerenti delle imprese nelle assunzioni e nell’organizzazione della produzione; delle organizzazioni sindacali nei rinnovi contrattuali; delle amministrazioni pubbliche negli orari delle città e nell’organizzazione dei servizi; della scuola nell’educazione al rispetto delle differenze; dell’informazione nel veicolare messaggi coerenti.
Sia il governo a promuovere l’aumento dell’occupazione delle donne come grande obiettivo nazionale a cui richiamare l’insieme del paese e a cui destinare le risorse del Recovery Fund. E lo faccia convocando tutti intorno a proposte concrete.
La maternità è vissuta come un rischio e un costo dalle imprese. Mentre si contrastano gli stereotipi, perché la maternità è un “master” che aumenta le competenze, come dice Riccarda Zezza, si proponga che l’indennità versata per retribuire l’assenza obbligatoria di cinque mesi sia tutta a carico della fiscalità generale. Oggi lo è all’80% e in virtù dei contratti collettivi al 100% in molte imprese. E l’indennità sia versata alle lavoratrici direttamente dall’INPS, sgravando in questo modo di un peso notevole le piccole imprese. La liquidità di quelle più piccole, ma l’Italia è il paese delle imprese sotto i nove dipendenti, è messa spesso a repentaglio dalla somma dell’anticipo dell’indennità con la retribuzione della persona che sostituisce la lavoratrice in maternità. Si tratterebbe solo di un anticipo di cassa, con un importo limitato dal punto di vista dei costi della Finanza pubblica stimato, molto per eccesso, dalla Ragioneria in 5 milioni.
Le imprese si impegnino a loro volta a politiche di organizzazione aziendali più flessibili, ad ampliare il catalogo dei servizi del welfare aziendale, a favorire la condivisione del lavori di cura tra padri e madri incentivando e non scoraggiando il congedo di paternità che nel frattempo il Parlamento dovrà più che quintuplicare. Il digitale aiuta, e anche lo smart-working nella sua accezione di lavoro per progetti, certo non di strumento destinato alle donne. L’informazione faccia la propria parte con articoli e palinsesti adeguati nei contenuti. Cominciando a valorizzare i talenti di tante donne.