Casalinga chi? Le lacune e le incertezze del fondo previsto nel “decreto Agosto”.
di Titti Di Salvo
Un inizio di percorso, utile ad aprire una discussione sul tema. Non sovrapponibile a quella sul valore del lavoro di cura da riconoscere a chi lo svolge: le donne.
La notizia è che nel Decreto di agosto a sorpresa, così hanno scritto alcuni quotidiani, sono stati stanziati 3 milioni all’anno per finanziare un “fondo per la formazione delle casalinghe”, come dice il titolo dell’articolo che il Decreto dedica all’argomento. Il Fondo è “finalizzato alla formazione e a incrementare le opportunità culturali e la inclusione sociale delle donne che svolgono attività prestate nell’ambito domestico, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito, finalizzate alla cura delle persone e dell’ambiente domestico, iscritte all’Assicurazione obbligatoria” prevista dalla legge del 1999. Sulla base di criteri che saranno stabiliti da un decreto del Ministero delle pari opportunità entro dicembre del 2020.
La legge sull’Assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico (legge 493/ 1999) stabilisce a sua volta in modo preciso requisiti e caratteristiche delle casalinghe che si possono assicurare. E sono coloro che appunto “svolgono un’attività rivolta alla cura dei componenti la famiglia e dell’ambiente in cui dimora; non sono legate da vincoli di subordinazione; prestano lavoro domestico in modo abituale ed esclusivo, non svolgono cioè altre attività per le quali sussiste obbligo di iscrizione ad un altro ente o cassa previdenziale”. Quindi al di là delle letture successive riservate al nuovo Fondo, non c’è dubbio che non sia destinato a implementare politiche attive del lavoro per donne disoccupate o inoccupate, perché per attingervi bisogna essere esclusivamente dedite al lavoro casalingo.
La norma è stata criticata da chi ritiene che non si tratti di una priorità, perché invece è urgente e necessario investire sull’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro con politiche adeguate. E per sapere quali, basta guardarsi intorno e leggere i dati sulle 35.000 madri che nel 2019, in tempi pre-Covid, hanno lasciato il lavoro per l’impossibilità di mantenerlo insieme alla cura dei figli, non condivisa e non sostenuta da servizi pubblici o privati. O le previsioni autunnali che individuano tra i più colpiti dalla crisi settori produttivi a forte presenza femminile. Il Fondo è stato anche criticato, però, da alcune organizzazioni di casalinghe, per l’esiguità dello stanziamento in relazione alla platea di più di 7 milioni di potenziali destinatarie.
Per quanto mi riguarda, per la veste che ha nel decreto, mi confermo nell’idea che il Fondo assomigli più all’accoglimento di una richiesta che al riconoscimento di un problema, tema, bisogno, diritto, a seconda di come la si veda. Tant’è che al suo annuncio, gli interrogativi hanno preceduto i giudizi. Cos’è? Ma riguarda le donne disoccupate? Si tratta di politiche attive del lavoro? Equivale o è la premessa del riconoscimento contributivo e previdenziale del lavoro delle casalinghe? E’ l’anticamera del salario alle casalinghe? Con la parola “casalinga” chi si identifica? La spiegazione ufficiale del suo significato ha seguito e non preceduto la norma. La quantità di risorse previste sicuramente sarà stata definita dalla Ragioneria sulla base della teorica platea delle beneficiarie. Comunque si tratta di una quantità oggettivamente esigua, che non dà strutturalità all’intervento formativo annunciato, qualunque opinione se ne possa avere. Quindi un inizio di percorso. Forse utile ad aprire una discussione sul tema. Che è una discussione non sovrapponibile però a quella sul valore del lavoro di cura che va riconosciuto a chi lo svolge, soprattutto le donne. Lavoro di cura di cui rivendichiamo la condivisione più che la conciliazione con il lavoro produttivo. Per superare gli stereotipi che penalizzano l’ingresso al lavoro o il mantenimento del lavoro delle donne. E questo sì, è davvero urgente per il futuro del Paese.