Spirito repubblicano e intesa bipartisan per battere la pandemia e salvare il Paese
di Titti Di Salvo
Nessuno sarà assolto. Siamo in una situazione molto diversa dalla prima fase della pandemia. Sono aumentate le diseguaglianze e si sono acuite le fratture sociali, per gli effetti economici della seconda ondata sommati a quelli della prima. Anche per questo per il Governo è più complicato ricreare quella sintonia con il Paese che si era realizzata in primavera. E contemporaneamente è indispensabile ottenerla per il successo delle misure contenute nel nuovo Dpcm. La difficoltà è reale in tutte le democrazie occidentali, ma è più vera che altrove qui da noi in Italia, per le condizioni di partenza. Economiche, sociali e anche politiche. Più precisamente di delegittimazione politica come tratto peculiare della dialettica politica nazionale.
Perché il governo recuperi credibilità e fiducia ci sono tre condizioni.
In primo luogo trasparenza e verità devono essere la cifra della comunicazione costante, attraverso un racconto che dia il senso della vicinanza alla quotidianità della vita delle persone e alla realtà produttiva. Fatta anche di economia informale, lavoro nero e lavoro grigio, come spiegano le cifre della Caritas sull’aumento in questi mesi delle persone in povertà.
In secondo luogo dovrà essere continuo il coinvolgimento non solo delle Regioni, ma anche delle opposizioni e delle forze sociali nella gestione della pandemia. Traducendo in pratica quella responsabilità collettiva di cui parla il Presidente Mattarella. A cui la politica, di maggioranza e di opposizione, non può sottrarsi. A proposito di spirito repubblicano o di patriottismo, per chi utilizza questo termine. Perché oggi, se non è necessario un governo di unità nazionale, è però necessario che il paese si ritrovi unito contro la pandemia. E’ molto importante da questo punto di vista l’accordo raggiunto con il sindacato e le imprese sulla proroga dei licenziamenti e i costi della cassa integrazione. Sbaglierebbe chi lo giudicasse, invece che con la lente dell’emergenza come bisogna fare, con quella del futuro delle relazioni industriali o del rapporto tra impresa, mercato e stato.
In terzo luogo è decisiva la rapidità di erogazione del sostegno economico alle persone, alle famiglie e ai settori produttivi. Questa volta non si può sbagliare. Né sui tempi né sull’ampiezza della platea dei destinatari. Gestione dell’emergenza e costruzione della prospettiva devono camminare insieme. Il patto di legislatura evocato dalle forze politiche di maggioranza ha senso se avvia le riforme per cambiare il paese, renderlo migliore e più sostenibile. Superando le fragilità che il Covid ha fatto emergere. Una su tutte i limiti del welfare italiano, che ha supplito negli anni a molte delle proprie carenze caricando la responsabilità della cura sulle donne.
Dunque quali riforme?
In primo luogo quella della Pubblica amministrazione, che la digitalizzazione non realizzerà in automatico se non si mette mano alla sua riorganizzazione, al ruolo della dirigenza. Al blocco del turnover. Il rapporto con lo stato delle persone e delle imprese è intermediato dalla Pubblica Amministrazione. Dalla sua efficacia e efficienza discende il loro giudizio sulla vicinanza delle istituzioni.
In secondo luogo la digitalizzazione del paese, con tutti i suoi risvolti dal punto di vista della estensione e qualità della connessione, del possesso generalizzato dei device e delle competenze informatiche. In terzo luogo sono necessari e urgenti investimenti pubblici e privati in ricerca, innovazione, istruzione e formazione. E in salute.
Ma bisogna sia chiaro che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è stata una della cause principali della bassa crescita del paese e della denatalità. Che la pandemia ne ha determinato una ulteriore riduzione. Sono 470 mila le occupate in meno tra il secondo trimestre 2019 e lo stesso periodo 2020 mentre è aumentata dell’ 8,5 % la rinuncia alla ricerca di un’occupazione, soprattutto tra le donne giovani. Che l’aumento dell’occupazione femminile determinerebbe, secondo le stime della Banca d’Italia, l’aumento del PIL del 7%. Sarebbe la la leva più potente per far crescere il Paese.
Per costruire la prospettiva ci vuole dunque chiarezza di intenti e una sequenza precisa: prima la decisione su cosa fare e quindi l’allocazione delle risorse, nazionali ed europee. Compreso il Mes, non solo il Recovery Fund. Già questa sequenza aiuterebbe la sintonia con il paese. Della politica. Non solo del governo.