Smart Working, serve una legge? Meglio una nuova visione
di Titti Di Salvo
Lo Smart Working è stata la scelta obbligata di questi mesi anomali per moltissime imprese e nella Pubblica Amministrazione.
L’alto tasso di gradimento da parte di aziende, lavoratori e lavoratrici giustifica le previsioni dell’Osservatorio del Politecnico di Milano secondo le quali dopo la pandemia in Italia continueranno a lavora in Smart Working 5,35 milioni di persone. Un po’ meno dei 6,58 milioni dei mesi alle nostre spalle, un terzo cioè dei lavoratori dipendenti, ma molte di più dei 570 mila del 2019.
La stessa dimensione delle persone coinvolte da’ il senso dell’ampiezza del cambiamento che ne deriverà. Da governare, per coglierne le potenzialità positive. Non solo nei rapporti di lavoro e nel rapporto delle persone con il lavoro, con il tempo e con lo spazio. L’impatto sarà grande sulla mobilità delle persone, sulla organizzazione delle città, sul rapporto tra centro e periferia, perfino tra Nord e Sud, campagna e città, piccoli borghi e grandi agglomerati urbani. E quindi sulla qualità ambientale. In sostanza sulla vita delle persone e delle città.
Qualche giorno fa il Governo ha annunciato un disegno di legge sull’argomento collegato alla nota di aggiornamento del Def.
A questo proposito è molto importante che le nuove regole facciano tesoro dell’esperienza di questi mesi e mantengano le maglie larghe della legge attuale, ancora in vigore ma sospesa dallo stato di emergenza.
Ci aiuta nell’analisi la moltiplicazione degli studi sull’argomento: dal Politecnico di Milano, alla Università Bocconi, all’INAPP, al rapporto Agi-Censis, alle inchieste sul campo sindacali. Fino alla ricerca recentissima pubblicata da Randstadresearch.
Dal punto di vista dei lavoratori il gradimento del lavoro agile è larghissimo: dal 60 per cento testato dal rapporto Agi-Censis all’80 -90 per cento emerso dalla indagine della UIL sulle lavoratrici e lavoratori romani.
Con motivazioni diverse. Dalla maggiore sicurezza ai minori costi legati agli spostamenti, fino all’accumulo di tempo risparmiato per raggiungere il posto di lavoro. In molti però contemporaneamente lamentano la mancanza di socialità. Le legge attuale 81/2017 prevede in realtà l’alternanza di periodi e giorni di lavoro da remoto e da ufficio. Impossibile nel lockdown.
L’altra faccia della medaglia è un aumento del carico di lavoro, anch’esso testato. In particolare sulle donne e in particolare nel periodo più acuto della pandemia in cui, a scuole chiuse, hanno sommato il lavoro produttivo, il lavoro di cura e il lavoro educativo.
Naturalmente non è colpa dello Smart working che anzi avrebbe potuto favore al contrario la condivisione della cura. Ciò che ha pesato sono i consolidati stereotipi nella divisione dei ruoli. Che le politiche pubbliche possono però favorire o ostacolare. Li si ostacola se non si collega lo Smart working all’aumento dell’occupazione femminile, come invece viene fatto nel Family act. In quel punto da correggere. E se si modifica la stessa legge 81 che indica solo per le madri il diritto allo Smart working nei primi tre anni di vita del bambino, per estenderlo anche ai padri. E ancora riconoscendo gli stessi sostegni nella cura previsti nel lavoro non da remoto (bonus baby sitter, congedi ecc). Perché il lavoro agile è una modalità flessibile di lavoro, non uno strumento di conciliazione dedicato alle donne. A loro volta le donne potrebbero avvantaggiarsi di una modalità di lavoro organizzata sui risultati e non sulla presenza e la disponibilità agli straordinari. Le attuali differenze salariali tra donne e uomini a parità di mansione si spiegano anche così.
Positiva è anche la valutazione delle imprese che apprezzano l’aumento della produttività che ne deriva, dimostrata da molti studi recenti italiani e meno recenti americani. E la riduzione dei costi, legata prevalentemente alla rimodulazione degli spazio.
All’aumento di produttività di cui si riferiva può corrispondere, e questo dimostrano appunto anche gli studi pre-Covid, l’assenza di un termine alla prestazione di lavoro. In questo caso la soluzione é la definizione del diritto alla disconnessione. Che nella legge in vigore é solo nominata.
Anche perché, e questa è una intuizione preziosa e da mantenere, la legge 81 obbliga ad un accordo tra imprese e singola persona nel quale adattare la modalità di svolgimento dello Smart working. Alle esigenze delle imprese e a quelle delle persone. Sarebbe utile accompagnare l’accordo individuale con la contrattazione aziendale e lasciare alla legge la definizione della cornice. Per evitare che uno strumento di flessibilità sia snaturato dall’ eccessiva regolamentazione generale, ma anche generica.
Pietro Ichino ha sollevato interrogativi sulla qualità, e quantità, del lavoro pubblico svolto da remoto, utilizzando la modalità della provocazione intellettuale che gli conosciamo.
Andrebbe approfondito a questo proposito il cambiamento delle modalità organizzative realizzate in concomitanza. Perché’ quando si parla di Smart working si parla di lavoro per obiettivi, di trasformazioni organizzative, di adeguatezza delle funzioni dirigenziali e della formazione dei dirigenti, oltre che dei dipendenti.
Alcune organizzazioni di imprese hanno lamentato un calo di consumi legati alla diffusione dello Smart working che il rapporto Agi-CENSIS conferma: non solo “crisi della cotoletta”, ma le conseguenze della desertificazione del centro. Che se governato in realtà potrebbe aver come effetto centri decongestionati e periferie rigenerate, Smart city. Città intelligenti in cui vivere meglio. Ma già oggi si registra anche un aumento delle iscrizioni di studenti nelle Università del Sud e di flussi di ritorno di lavoratori. Tanto da coniare un nuovo termine, South Working.
Oltre all’impatto già misurato sulla riduzione di emissioni e sull’inquinamento. Senza dimenticare che il lavoro da remoto non è home working, è appunto da remoto. E i coworking sono una utile modalità di organizzazione collettiva del lavoro da remoto. In sostanza, le innovazioni possono essere governate o contrastate.
In questo caso servirà una visione d’insieme per guidare una regolazione intelligente del rapporto di lavoro e la trasformazione positiva delle città e dell’organizzazione sociale e produttiva. Non uguale a prima. Migliore di prima, perché più sostenibile.