La vergogna nazionale delle “giunte maschie” in un Paese miope
di Titti Di Salvo
La Sicilia si è unita al Molise e insieme rappresentano un record imbarazzante per un paese civile: un governo regionale composto esclusivamente da uomini. In Sicilia si tratta del risultato recente del rimpasto di giunta del presidente della Regione Musumeci che ha sostituito due assessori, un uomo e l’unica donna della giunta, con due uomini.
D’altra parte la legge elettorale siciliana, regione a Statuto speciale, non prevede la doppia preferenza di genere, con il risultato scontato di un parlamento regionale di 70 consiglieri, di cui solo 14 donne. Che non rappresentano così neppure la composizione della popolazione siciliana. Perché la presenza delle donne nelle istituzioni non è soltanto un problema di qualità della democrazia. Alla mancanza di qualità democratica si aggiunge il deficit di rappresentazione della realtà. Che è incredibile dover alzare il dito per sottolineare. Come se fosse un problema delle donne. D’altra parte c’è’ voluto un decreto legge, qualche mese fa, per imporre nelle regioni a statuto ordinario la parità di genere nelle consultazioni elettorali, prevenendo analoghi risultati nelle elezioni pugliesi. Ed è comunque importante che il decreto sia stato deciso e approvato.
Nel paese in cui l’occupazione femminile è al di sotto della media europea e in cui anche per questo la denatalità corre sempre più veloce, colpisce comunque la miopia politica di chi rinuncia alle competenze delle donne. E ai vantaggi per tutti che da esse derivano. Eppure è stato detto tante volte che l’anno terribile della pandemia ci ha insegnato tante cose e tra queste il valore dell’economia della cura e il ruolo delle donne nell’economia del paese. Così non è. Non è ancora.
Lo si capisce dalle giunte maschie, dalle politiche pubbliche locali e nazionali sulle infrastrutture sociali, dalla composizione dei gruppi dirigenti dei partiti, dalle scelte del parlamento sulle nomine, dalle assenza di competenze femminili nelle varie, diverse, numerose e pleonastiche cabine di regia. E dalla fisionomia dei luoghi del potere. D’altra parte è frequente imbattersi addirittura in seminari, webinar, conferenze con relatori solo maschili. Ed è molto raro che l’imbarazzo colga i partecipanti a quegli eventi autocensurandone la partecipazione. Quei panel di soli uomini, svolti appunto senza disagio, sono il segno di una postura culturale. Ancora potente perché ispira scelte e soprattutto acceca la visione del futuro.
Alcuni segni di cambiamento ci sono. La stessa ultima legge di bilancio appena approvata contiene passi avanti: dalla sperimentazione della decontribuzione per le assunzioni di donne e giovani all’aumento dei giorni del congedo obbligatorio di paternità. Passi avanti sì, ma piccoli se paragonati all’impegno grande di molte parlamentari nelle istituzioni e all’impegno altrettanto grande di molte associazioni che in questi mesi hanno alzato la voce: da Datecivoce, al GiustoMezzo, alle Contemporanee, unite nella campagna “Half of it”, per la destinazione di metà delle risorse del Recovery fund all’aumento dell’occupazione femminile e alle infrastrutture sociali. Passi ancora più piccoli se paragonati a quanto sarebbe importante per il paese dismettere gli stereotipi di genere che lo imbrigliano. Privandolo del 7% di aumento del Pil, secondo le stime di Banca d’Italia.
Per questo obiettivo, oggi più che mai serve una alleanza tra donne e uomini. Per dare una speranza al paese.
E, francamente, è questa la visione nazionale che manca.