Perché non paragonare il Governo Draghi a quelli di Ciampi e Monti
di Titti Di Salvo
Rimarranno nel tempo le parole gravi con cui il presidente Mattarella ha tracciato le emergenze del paese e ha argomentato il conferimento al prof. Draghi della formazione del nuovo governo. Il presidente del Consiglio incaricato ha indicato a sua volta le sfide: vincere la pandemia, condurre in porto la campagna vaccinale, dare risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il Paese con uno sguardo attento «alle nuove generazioni e alla coesione sociale». Con il sostegno decisivo delle risorse straordinarie garantite dall’Unione europea.
Non era scontata la scelta annunciata dal presidente incaricato di consultare le parti sociali. Non è un dettaglio. Sapremo se sarà anche un elemento di profilo del nuovo governo, se e quando si insedierà. Una fase così complicata del paese lo richiederebbe. Lo richiede sempre la qualità della democrazia.
Molti in questi giorni stanno paragonando la chiamata in causa di Draghi a quella di Monti o di Ciampi. A me non pare che i paragoni si attaglino. Ciò che c’è di simile è l’emergenza e la difficoltà della politica. Cioè che c’è di diverso sono le condizioni del paese e del sistema politico e dei partiti. E la crisi sanitaria. Ma ciò che differenzia più di tutto è il Recovery plan. E con esso l’occasione per riscrivere il paese, che richiede un patto con tutte le classi dirigenti. Il dialogo sociale è un elemento fondamentale del modello sociale europeo che Draghi ben conosce. Ma in questo quadro è anche la condizione necessaria per superare le diseguaglianze che il Covid ha fatto emergere e il metodo per affrontare la fine del blocco dei licenziamenti e la crisi delle attività produttive. E soprattutto per progettare il futuro.
Ma ci può essere qualità della democrazia e futuro se il 50 per cento delle persone, le donne, sono escluse? Dalle politiche, cioè dalla rappresentanza e dalla rappresentazione? Dalle politiche, cioè dalle scelte di politiche pubbliche e di sistema. Fu proprio Draghi nel 2011 a definire nelle sue considerazioni da governatore della Banca d’Italia l’esclusione delle donne un incredibile spreco di talenti. Otto anni dopo, nel 2019, l’Ocse ha stimato in 209 anni il tempo necessario per portare in parità tra uomini e donne la distribuzione del lavoro di di cura e gli ultimi dati sulla perdita di lavoro delle donne urlano. Tra luglio e novembre 2020 l’Istat ha registrato un crollo dell’occupazione quasi esclusivamente al femminile: su 101 mila unità 99 mila sono donne. Servono politiche di sistema dunque per aumentare l’occupazione femminile e quindi il benessere del paese. Ma non c’è qualità della democrazia anche senza rappresentazione paritaria nella composizione di un governo di qualità e competente: 50 per cento donne e 50 per cento uomini è la giusta misura. Come è la realtà. Come Draghi sa per l’esperienza europea. Non c’è qualità della democrazia anche senza politiche di investimenti sui giovani. Che è quello che disse Draghi al Meeting Rimini a fine agosto 2020 e che tutte le forze politiche ripresero osannando il suo discorso. Salvini ha detto che il suo metro di misura per valutare il programma del futuro governo Draghi sarà quota 100. Ognuno avrà il suo di metro di misura e ogni forza politica proporrà la sua visione.
Io considererei un ottimo punto di partenza la coerenza di Draghi con Draghi: dialogo sociale, investimenti sui giovani e sulle donne. Per il futuro e la qualità della nostra democrazia.