Il Recovery Fund non basta: anche la denatalità va affrontata con la condivisione
di Titti Di Salvo
[Pubblicato il 16 maggio 2021 su Il Corriere della Sera]
Gli Stati Generali sulla natalità hanno riportato l’attenzione pubblica sull’argomento. È successo anche altre volte che in occasione di eventi pubblici dedicati, o in occasione della presentazione dei dati Istat, si accendessero i riflettori sul crollo delle nascite, iniziato ben prima del Covid. Per poi rispegnersi poco dopo.
Negli Stati generali di qualche giorno fa però hanno preso parola il Papa e il Presidente del consiglio Draghi. E nella discussione pubblica è entrato il peso dell’autorevolezza dell’uno e dell’altro.
Il Presidente del Consiglio non ha usato parole rituali per descrivere le cause della denatalità, che non sono solo economiche. «Si è guardato alle donne che decidevano di avere figli come un fallimento, e all’individualismo come una vittoria. Oggi abbiamo capito che questa è una falsa distinzione ». Ha detto Mario Draghi. E ha rassicurato sulla strutturalità della nuova misura dell’assegno unico: niente più bonus bebè, bonus nido, bonus baby sitter da rinnovare a ogni legge finanziaria. Draghi ha ricordato i 21 miliardi che nel Ppnr a vario titolo sono destinati al sostegno delle famiglie. Ha sottolineato i 4,6 miliardi per le infrastrutture sociali e la condizionalità, molto importante, sull’assunzione di donne e giovani per le imprese che intendano accedere agli investimenti.
Si potrebbe eccepire sulla quantità delle risorse. Quelle per gli asili nido consentiranno l’accesso al 33 % dei bambini, molto di più del 24 % attuale e però molto meno dell’obiettivo europeo del 60%. Lo hanno fatto le associazioni di Half oh it, Donne per la salvezza. Ma la strada è tracciata e non tutto può essere risolto nel Recovery. Servono appunto le riforme: del welfare, delle politiche attive del lavoro, del sistema di istruzione e della formazione.
Rimane,però, la sensazione che il racconto pubblico si continui a muovere, se va bene, intorno al disvelamento della fatica delle madri, il dossier “Le equilibriste” di Save the children dà un contributo importante a proposito. Ma non ne tragga per nulla le conseguenze. Che non sono quelle di aiutare le donne a conciliare meglio lavoro e figli, nella versione più progressista, o di aiutare le madri a casa loro, nella versione Pillon o Fratelli d’Italia. O semplicemente nel dare valore sociale alla maternità. Peraltro obiettivo quest’ultimo tutt’altro che scontato nel Paese in cui la pallavolista Laura Lugli viene portata in giudizio dalla società sportiva per la sua maternità.
No. Il punto è che la maternità e la paternità non possono essere una rinuncia. E in Italia si desiderano 2 figli ma se ne mette al mondo 1. Ma neppure un destino, la condizione per il riconoscimento sociale delle giovani donne, la distinzione tra successo e fallimento, egoismo e altruismo. Tayani, leader di Forza Italia ci ha anche detto che «non ci sono famiglie senza figli».
La maternità deve essere una scelta. E anche un interesse pubblico. Se è così, sgombrata con i dati l’equazione donne lavoratrici uguale meno figli – perché è esattamente il contrario – per affrontare in modo efficace e contemporaneo il crollo delle nascite e rendere libera la scelta di maternità e paternità due cose servono: politiche strutturali di sistema per sostenere l’occupazione femminile e giovanile e una cura choc per sconfiggere gli stereotipi di genere, quelli che assegnano alle donne la riproduzione sociale e la cura, e agli uomini il lavoro fuori casa.
E per sconfiggerli c’è un solo modo oltre che la formazione civica a scuola: riconoscere congedi obbligatori di paternità uguali a quelli della madre, non simbolici come invece sono i 10 giorni, piu uno facoltativo. Incentivare il part- time condiviso tra i genitori, come in Germania. E incentivare anche lo smart working, se condiviso da padri e madri. Insomma sostenere in tutti i modi, simbolici e concreti, la condivisione della cura, non solo dei figli, tra donne e uomini. Come scelta, come visione, come fondamento di una società più sostenibile. Quella che il Covid ci ha indicato come necessaria. E un tavolo in cui il governo convochi il Paese per affrontare il nodo dell’occupazione delle donne e dei giovani, e quindi anche del rapporto tra la maternità, la paternità e il lavoro. Per realizzare dunque un patto, un impegno delle imprese, del governo, delle istituzioni, degli enti locali, dei sindacati a realizzare le scelte più coerenti.