Priorità ai giovani?
di Titti Di Salvo
Subito dopo il suo discorso al meeting di Rimini, tutti si sono complimentati con Mario Draghi per aver messo al centro i giovani e l’innovazione. E quindi, dopo il pronunciamento nella stessa direzione di tutta la classe dirigente, ci dobbiamo aspettare che i giovani siano al centro delle prossime scelte politiche?
I giovani e anche le giovani donne. Anche se questo per la verità Mario Draghi non l’ha detto, né l’ha detto la quasi totalità di chi ne ha commentato l’intervento. Il che non lascia tranquilli sulla capacità di passare dalle parole ai fatti, perché conferma quella visione neutra della realtà che ha ostacolato fin qui la modernizzazione del paese per la sottovalutazione della forza innovativa del talento delle donne.
Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, pur con un approccio molto “pro domo sua”, ma comunque sempre nel nome di Draghi, ha proposto un patto per l’Italia. Patto che per la verità i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil avevano già proposto. Limitandosi a leggere i pronunciamenti piuttosto che i comportamenti, verrebbe da dire, e soprattutto da auspicare, che la consapevolezza della difficoltà della situazione economica e sanitaria del paese spinga verso la convergenza di forze sociali diverse e forze politiche distanti. Le prime, un anno dopo il patto della fabbrica, per affrontare gli effetti drammatici del lockdown. Le seconde intorno alle priorità che tutti hanno riconosciuto nelle parole di Draghi.
Ma ci sono almeno tre “stress test” per misurare la corrispondenza tra pronunciamenti e comportamenti.
In primo luogo gli investimenti pubblici in istruzione e formazione, per l’alfabetizzazione digitale e contro la povertà educativa. Ci aspettiamo quindi la destinazione di molte delle risorse del Recovery Fund in questa direzione e la riapertura in sicurezza della scuola. Ma ci aspettiamo anche che la formazione sia il cuore dell’incontro di settembre tra imprese e sindacati e dei tanti contratti in attesa di rinnovo. È interesse generale contrastare la precarietà del lavoro e l’obsolescenza delle competenze davanti ai cambiamenti strutturali dei processi produttivi legati all’innovazione. Per farlo la formazione deve accompagnare le persone nel corso di qualunque rapporto di lavoro, anche non a tempo indeterminato, come suggeriva qualche giorno fa il segretario generale della Fim-Cisl.
In secondo luogo in Italia da anni nascono sempre meno bambini. Meno di quanto le giovani coppie desiderino, esattamente la metà secondo i dati, e meno di quanto sarebbe auspicabile per dare basi solide al futuro del nostro paese. Esiste d’altra parte un rapporto comprovato tra natalità e occupazione femminile. Sappiamo che per invertire il verso della denatalità – in modo che maternità e paternità siano scelte libere, né un destino ma neppure una rinuncia – servono investimenti pubblici strutturali. Ma ci aspettiamo che di partecipazione femminile al mercato del lavoro se ne parli anche nel confronto tra le parti sociali. Perché gli ostacoli al lavoro delle donne non si rimuovono soltanto con la moltiplicazione dei servizi, le politiche pubbliche di sostegno alla condivisione delle responsabilità genitoriali, il contrasto agli stereotipi di genere. Decisiva è la scelta culturale delle imprese e quella organizzativa, che peraltro l’innovazione consente agevolmente di rendere più flessibile.
In terzo luogo anche il destino di “quota 100”, la modalità di uscita dal lavoro coniata sperimentalmente dal governo giallo verde fino al 2021, sarà un test significativo. Con i requisiti previsti di 38 anni di contributi e 62 anni di età si sono escluse le donne. Si è concentrata al Nord la platea dei beneficiari. Si è ignorata la realtà lavorativa dei giovani che cominciano tardi a lavorare e fanno lavori discontinui. E soprattutto si è continuato a immaginare gli stessi requisiti per la pensione per chi svolge lavori differenti. Nonostante le aspettative di vita siano diverse a seconda del tipo di lavoro svolto (e del livello di istruzione).
E infine ci aspettiamo che, dopo tanta consapevolezza post Draghi, si faccia largo ai giovani e alle donne in tutti i luoghi in cui si decide. Che forse sarebbe la strada da imboccare in premessa.