Covid e resilienza
di Cristina Lodi, assistente sociale e consigliera comunale a Genova.
Ho scritto questi appunti dopo mesi di riflessione, analisi e approfondimenti, aiutata dal contenuto di saggi scritti da esperti che hanno cercato di “leggere” questa nuova realtà. Scrivo perché sento un dovere morale verso la mia città, Genova, colpita duramente dalla pandemia. Scrivo perché da quest’esperienza, che ha messo in evidenza le disuguaglianze preesistenti e ne ha create di nuove, è emerso il valore incommensurabile della persona e l’idea che il bene comune possa essere costruito solo lavorando insieme.
Questa situazione così drammatica ha messo in evidenza le disparità sociali, colpendo nel profondo i legami tra le persone: uomini e donne che muoiono negli ospedali soli, senza i parenti, anziani lontani dai loro cari per mesi, minori e famiglie in difficoltà, messi a dura prova da norme restrittive spesso incomprensibili. Per non parlare dell’isolamento educativo forzato a cui sono stati obbligati i nostri bambini e i nostri giovani. Le solitudini, le paure e i limiti di molte vite si sono acuiti e resi ancor più evidenti.
È certo che la sfida è grande, ma non può essere negata da nessuno. Oggi più che mai l’amministrazione comunale non può rinnegare la sua natura, che non è “solo” l’espressione della democrazia, ma la rappresentanza di una Comunità. Una Comunità che non sarà mai più quella di prima, ma che ha bisogno di avviarsi verso un processo di “resilienza trasformativa”: una resilienza che vuole superare la tentazione di ritorno al “prima” e l’idea di ripartenza basata sulla crescita quantitativa, una resilienza che vuole proporre una crescita qualitativa.
In questo periodo di lotta contro il virus abbiamo imparato che il coordinamento di tante piccole scelte individuali, sotto la guida di istituzioni attente al bene comune, è la chiave per la soluzione dei problemi. Abbiamo visto come amministrazioni lungimiranti hanno dato avvio a politiche forti e incisive, concrete. È urgente cercare e attivare norme intelligenti, generatrici di energie positive, che dovranno ispirare alla rigenerazione morale e a nuovi modelli di città. Oggi più che mai, abbiamo bisogno di una welfare society piuttosto che di un welfare state; abbiamo bisogno di una sussidiarietà vera, rispettosa degli aspetti individuali e collettivi. Abbiamo bisogno di riflettere e scommettere sul sistema educativo. Per queste ragioni è arrivato il momento di scatenare la fantasia: vanno costruite e recuperate reti, occorre organizzare una rilevazione complessiva dei bisogni dei cittadini, soprattutto di quelli fragili, articolata nelle sue manifestazioni immaginando e organizzando risposte efficaci. Nessuno va dimenticato: non si può rinunciare a trovare una risposta alla solitudine, alla morte in solitudine, alla sofferenza in solitudine. La Comunità va chiamata a stringersi intorno ad un progetto immediato, comune. I volontari rendono questa città meravigliosa, ma vanno aiutati, sostenuti, indirizzati, così come la marea di professionisti oggi in prima linea su molti fronti. L’amministrazione deve ritornare al suo ruolo di “genitore” accudente, deve riscoprire il suo ruolo di cura. Dove non esistono, vanno convocati urgentemente tavoli di lavoro a cui potranno partecipare tutte le forze sociali e socio-sanitarie, volontaristiche e non, per poter affrontare insieme i problemi delle famiglie, degli ammalati, dei dimenticati, delle persone sole. Vanno create task forces a partire dalle risorse umane già esistenti, per poi immaginare anche futuri reclutamenti veloci: volontariato, servizio civile, assistenti sociali di protezione civile; va attivato tutto quello che non è stato ancora attivato, ma che è possibile attivare. Vanno resi disponibili spazi e luoghi.
Non possiamo aspettare di cadere troppo in basso. La salute e il benessere delle nostre città oggi sembrano lontane, ma dobbiamo credere che potremo riconquistarle se ciascuno farà la sua parte in sinergia con l’altro: si può fare e si deve fare di più. In un articolo pubblicato sul Jama Pediatrics, Abby R. Rosenberg del dipartimento di pediatria della University of Washington School of Medicine a Seattle scrive: “La resilienza non è qualcosa di innato (o comunque solo in parte), ma è frutto di un’azione deliberata”. Contemporaneamente anche Viola Rita scrive: “Ora stiamo attraversando il guado, ma dopo potremmo guardarci indietro con un nuovo spirito”. A livello individuale possiamo già lavorarci, chiedendoci come ci siamo comportati in altre situazioni difficili, procedendo a piccoli passi ed esprimendo gratitudine, ricordando e facendo affidamento alle nostre qualità: determinazione, forza, ottimismo.
Condivido pienamente questa visione e questi sentimenti. Per quanto mi sarà possibile mi impegnerò sempre di più per questi obiettivi. Deve esserci un forte movimento sociale e politico che si adoperi seriamente in questa direzione, non è accettabile lasciare che si rimanga alla situazione attuale ! Non più! Mai più!